inquisito

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Sono davvero nuvole, solo nuvole?

Io vedo un paesaggio che si slarga all'infinito: vedo un fiordo norvegese, vedo il mare. Eppure l'incisione di Giancarlo Rossi si intitola, semplicemente, "Nuvole". Il suo fascino sta proprio qui: in questa capacità che l'artista ha di far "stravedere", cioè di sollecitare la fantasia di chi vede.

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Questo è - a mio avviso - uno dei requisiti dell'arte vera. Tanto che, per un'altra acquatinta di Rossi, mi viene spontaneamente un nome: Friedrich . L'autore, candidamente, ammette: "quando l'ho realizzata non conoscevo, se non vagamente, la pittura di Friedrich.
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Ben mi rendo conto: Rossi è, nell'animo, un romantico. S'intenda, un romantico di stampo nordico, quindi con una propensione allo slargarsi degli spazi verso la ricerca del Sublime. Quando esegue un'altra incisione, "Sciliar con la neve", egli lavora essenzialmente sui bianchi cioè sui vuoti. Tocca a noi, sulla scorta di quegli esili segni, immaginare la conformazione del paesaggio: ricercare la neve, ricreare gli abeti, scorgere lontano la vetta del monte. L'immagine; appunto, attende di essere "ricreata".?Ecco (è un altro esempio) "Foglie al vento". C'è una barchetta bianca, candida, che si insinua nello scompigliarsi delle foglie sparse bai vento. L'invito è di inseguire proprio quel vento, quel ritmo, quell'aria che gira: indovinare (scusate se è poco) la musica che nasce dal disordine che tende a tramutarsi in ordine.?Si sa come lavorano gli incisori, fin dai tempi di Dùrer: guardano la natura, la osservano attentamente, quasi se ne impossessano. Poi entrano nell'antro dell'alchimista e rimembrano: cioè trasfigurano i brandelli di memoria salvati dal fuggire del tempo. Niente a che fare col "en plein air" degli Impressionisti.

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L'incisione - ad acquaforte, ad acquatinta anche a puntasecca - nasce così: germoglia dal di dentro come un filo d'erba sul prato. Cresce, prende forma, si dilata; e poi magari si trasforma.

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Lui, Rossi, vorrebbe offrire allo spettatore quasi un viatico; e talora lo fa. Come quando appunto sotto l'acquaforte di "Foglie al vento annota poeticamente: "Aria o acqua / su cui essere / o andare / per una volta almeno". Parole pudiche, com'è pudica l'immagine.

In fondo Giancarlo Rossi non ha avuto - o ha oggi - maestri. Ha preso la sua strada da solo; ha sfrondato più che aggiunto: ha amato vuoti più che i pieni; ha cercato gli spazi più che le cose. Anche quando, recentemente, ha , affrontato un tema che parrebbe realistico, vangoghiano, come quello della sedia impagliata con sopra un paio di occhiali, un berretto a righe e l'immancabile barchetta di carta, ha pensato anzitutto a togliere la gravità agli oggetti. Ha scelto, così, di velare l'immagine ad acquaforte con una sottilissima carta raggrinzita, cosparsa di minuscole foglioline: un accorgimento tecnico, ma anche una sorta di filtro su cui depurare ogni residuo di materia.
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Come dire: l'artista tende sempre a purificare l'immagine. La vuole limpida, sospesa a mezz'aria, nel contempo tersa ed anche intensa, ma spiritualmente, non oggettualmente, intensa. Quel che conta è il riflesso dell'anima, la capacita li offrire uno spiraglio alla fantasia.?"Lo faccio - lui confessa - perché mi sta suonando qualcosa dentro". Di quale suono si tratti, è presto detto: il suono del silenzio. Cioè quella musica che non si ode con le orecchie ma con il cuore.