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Fonte : http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2010/01/15/news/trompe_l_oeil_firenze-1959809/

Riscoperte

Quegli inganni d'artista
che diventano capolavori

A Firenze, Palazzo Strozzi, il panorama dall'antichità ai giorni nostri sugli "inganni" non solo in pittura. "Trompe-l'oeil", "nature morte", miraggi, modelli, iperrealismo, "confusione" fra spazio fisico e spazio dipinto con una tecnica sempre sopraffina. Dal seicentesco celeberrimo "Scarabattolo" fiorentino alla trappola visiva e cruciverba di Jacques Poirier, ai "Quadri specchianti" di Pistoletto. di GOFFREDO SILVESTRI


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FIRENZE -  Questa mostra di Palazzo Strozzi sul "Trompe-l'oeil", sull'"inganna-l'occhio" (curiosa, divertente, raffinata, di per sé sorprendente, di altissima qualità tecnica, di cui il pubblico si è accorto con una bella media quotidiana sempre crescente di 817), comincia prima della mostra. Con l'angolo di pagina stropicciato, col cartellino del catalogo da raddrizzare, giusto per qualche attimo prima di accorgerti che il "trompe-l'oeil"  è già entrato in azione. Ma il "trompe-l'oeil" non coincide semplicemente con la pittura che ha l'obiettivo ultimo di rendere il vero della natura?

Per il  "Dizionario moderno" di Alfredo Panzini (1942), è "nome dato a certe prospettive finte di sfondo, o a quadri che imitano cose di natura morta". Per il "Devoto-Oli" (1987), è "genere di pittura accentuatamente naturalistica" che tende a una concretezza tale da generare l'illusione del reale; "impiegata specialmente per certe nature morte, l'espressione definisce anche gli artifici prospettici usati per dare la percezione di un dilatarsi dell'ambiente interno". E il quadraturismo è "sinonimo di trompe-l'oeil". Per il "Dizionario di antiquariato Utet" (1989) "genere di pittura (più propriamente  di natura morta)". In "quel tipo di dipinti, il pittore procede con sottili accorgimenti di 'prospettiva ribaltata', tramite la composizione di immagini di oggetti proiettati al di qua del  quadro, rendendo visivamente  l'illusione di materie, manufatti, forme naturali". L'artefice "si propone di sorprendere e stimolare, piacevolmente il gusto, il godimento di colui che contempla il quadro in trompe-l'oeil, vanificando la distinzione tra il Vero della realtà e le immagini dipinte".

I termini più ricorrenti sono "trompe-l'oeil" - "natura morta" - inganno, ma la più realistica "natura morta", la più materica, si presenta ed è "natura morta" cioè non ingannerà mai l'occhio proprio per il suo dichiararsi. Riempirà di ammirazione l'osservatore per la fedeltà al vero. Ma non è "arte ingannevole, avendo varcato la tenue soglia percettiva 'al di quà della quale  non c'è l'illusione del vero, bensì la rappresentazione  di un soggetto". Così risolve la complessa discussione Cristina Acidini, soprintendente per il patrimonio storico-artistico e il polo museale di Firenze che ha promosso e organizzato la mostra con la Fondazione Palazzo Strozzi, l'Opificio delle pietre dure e il sostegno della Cassa di Risparmio. "Qual è il confine tra una natura morta con cacciagione e un'immagine illusionistica di due fagiani morti appesi ad un chiodo su un uscio"? "La buona riuscita del trompe-l'oeil  - intetizza Cristina Acidini-, dipende "dal grado di ingresso del quadro o dell'oggetto nel 'nostrò spazio. Se l'illusione riesce l'opera d'arte entra in competizione col testo della tangibile realtà fisica di spazi e cose e le menti sprovvedute si lasciano trarre in inganno, come gli uccelli con l'uva di Zeusi".

Per dire che le interpretazioni sul "trompe-l'oeil"-"natura morta" sono di antichissima data come ci ricorda Plinio il Vecchio sulla competizione  fra i due sommi pittori greci Zeusi e Parrasio. Il primo dipinse grappoli d'uva tanto grappoli che gli uccelli scesero a beccarli. Il secondo dipinse davanti ad un quadro una tenda tanto tenda che Zeusi sentì il desiderio di scansarla. E c'è l'aneddoto della mosca dipinta da un giovane Giotto impertinente sul naso dipinto che Cimabue aveva lasciato incustodito e che il maestro tentò più volte di allontanare, come riferisce divertito il Vasari. Verrebbe voglia di fare altrettanto col moscone che Carlo Crivelli fa scendere sulla balaustra di marmo a pochi centimetri dal Bambino nella Madonna del "Metropolitan".

"Trompe-l'oeil" come illusione, "magia" dipinta su di un quadro vero o su una facciata vera. Sul cinquecentesco castello di Lagnasco (Saluzzo), dove lavandaie si sporgono da una loggia che non esiste a stendere panni che non ci sono. O su una parete vera di una sala vera fra stipiti dipinti, come la ragazzina che si affaccia dalla porta socchiusa che non c'è o il battitore che esce per la caccia da una porta dipinta di villa Barbaro a Maser affrescata dal Veronese.

Il titolo della mostra è "Inganni ad arte. Meraviglie del trompe-l'oeil dall'antichità al contemporaneo" (fino al 24 gennaio), ma va oltre il "trompe-l'oeil". Ai modelli settecenteschi in ceroplastica di frutta e verdura; al melone spaccato a metà di stoffa ricamata del 1760-1800, di massima illusione su di un piatto di porcellana; alla "natura artificiale" in poliuretano del 1966 di Piero Gilardi; al fanciullo togato  del II secolo dopo Cristo in durissina basanite egiziana che lo fa apparire come di bronzo; all'umilissima scagliola (gesso colorato-colla) che negli altari settecenteschi si trasforma in nobili marmi policromi. Cura della mostra e del catalogo Mandragora è di Annamaria Giusti, responsabile della Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti.

L'unico "effetto secondario" di questa mostra è che rivelando il "trompe-l'oeil" in tutte le categorie, declinazioni, sfumature, ambienti, culture ci tolga un po' della sorpresa, appunto dell'inganno in cui noi piacevolmente cadiamo che è la sostanza del "trompe-l'oeil". Inganno al quale James M. Bradburne, direttore generale  della Fondazione Palazzo Strozzi, aggiunge il gusto dell'ironia e dell'umorismo dell'artista nell'ingannare.  Le opere sono circa 140, ma uno sfoltimento sarebbe stato salutare, con più spazio fisico e di attenzione. Sono dipinti, non solo, arti applicate (tarsie cinquecentesche; piatti con vivande dalla cappella dell'Ultima Cena del Sacro Monte di Varallo), sculture che però sono le resine iperrealiste o cere anatomiche seicentesche (la testa ribaltata, tagliata, estratta, di Giulio Gaetano Zumbo), che non possono essere più chiare e dirette di così).
Se non ci si accanisce nella distinzione è bello farsi prendere dalle folate di una pittura dall'eccezionale livello di capacità mimetiche e dall'ubriacante inventiva. L'idea della mostra è venuta a Cristina Acidini e Annamaria Giusti meditando sul fatto che lo "Scarabattolo" del museo dell'Opificio delle pietre dure veniva richiesto in continuazione dalle mostre di tutto il mondo come "pietra angolare" imprescindibile del "trompe-l'oeil". Perché allora non riunire a Firenze "fratelli", "parenti" vicini o lontani del "trompe-l'oeil"? 

Ma cos'è lo "Scarabattolo"? Chiedendo sempre aiuto al "Devoto-Oli", è una "sorta di stipetto a cristalli, per oggetti di particolare valore intrinseco e artistico" (ma carabattola, italiana, richiama "masserizie di poco pregio"). Lo "Scarabattolo" dipinto è attribuito al raro fiammingo Domenico Remps attivo nella seconda metà del Seicento. Una straordinaria, ma chiarissima "natura morta" tanto è vero che Bradburne ha qualche dubbio sul carattere di "trompe-l'oeil". Qui però lo spazio dipinto coincide con lo spazio fisico e quindi con un inganno.

Lo "Scarabattolo", con gli sportelli aperti, presenta su tre ripiani il contenuto di un "supermercato" di "naturalia e artificialia" con molti degli oggetti che facevano parte delle collezioni medicee. Fu commissionato, forse nel gennaio 1689, molto probabilmente dal marchese Francesco di Cosimo Riccardi (destinatario della lettera incastrata fra vetro e sbarre degli sportelli), che era maggiordomo maggiore del granduca Cosimo III dè Medici.
In una tela di 93 per 137 cm non si sa cosa ammirare di più. Se il numero e la fantasia degli oggetti o la cura lenticolare con cui sono resi. Uno specchio sferico, una lente, uno strumento scientifico in vetro soffiato, un termometro ad alcool, una pistola, un orologio da tasca sul bordo dello stipetto insieme ad un calamaio con due penne d'oca e un coltellino); mini-dipinti (15 di cui una "natura morta" più quattro appesi alle ante, una stampa, due grosse medaglie); bronzetti e cammei; vasi di avorio tornito; rami di corallo in funzione "anti jella" e per presunte qualità medicamentose (rosso, nero, bianco e un teschio su cui cresce un corallo rosso, nel Seicento una specie di attrazione turistica, oggi a Calci, in provincia di Pisa, nel Museo di storia naturale); scarabei, minerali, conchiglie; cinque nastri rossi, eccetera, eccetera. Forse l'artista raggiunge il massimo raffigurando i vetri degli sportelli rotti o mancanti o incrinati e gli effetti impercettibili diversi sugli oggetti.

Se lo "Scarabattolo" merita un posto d'onore, la mostra ha come copertina "In fuga dalla critica", titolo criptico, forse solo "ironico, di una tela di 76 per 63 cm del catalano Pere Borrell del Caso, anno 1874, e arrivata da Madrid. Uno "scugnizzo" del porto di Barcellona, camicia aperta sul petto, pantaloni al ginocchio, sta per lanciarsi da una finestra-cornice dorata sulla quale ha già messo un piede (e quindi nel nostro spazio reale). In quella posizione deve certo fuggire da un pericolo alle spalle, ma gli occhi sbarrati con cui si presenta fanno capire che scopre davanti un pericolo ancora maggiore (chissà un paio di "carabineros"). Naturalmente il significato può essere nobilitato dalla "metafora dell'arte stanca di sottostare immobile e indifesa ai giudizi dei critici", a cui però corrisponde l'inutilità dell'impresa. Anche qui l'illusione di uno spazio dipinto che coincide con lo spazio fisico. Annamaria Giusti ricorda che la tela ebbe uno "speciale successo" ed è "fra i risultati più suggestivi della sperimentazione del rapporto fra immagine figurata e spazio reale".
L'invasione dello spazio reale da parte del dipinto è riproposta in mostra da grandissimi nomi. Mantegna con Marco Evangelista nella nicchia, il gomito che sporge oltre il davanzale, del 1447-1448 circa. Carlo Crivelli col Cristo Benedicente al centro di una predella smembrata, che tiene aperto sul parapetto un Vangelo dalle pagine accartocciate dall'uso continuo. Francesco del Cossa con la tavolettina (26 per 18) di "Frate francescano in preghiera" inquadrato da una cornice a finto chiaroscuro su sfondo scuro. Il Veronese, specialista di una pittura integrata con l'architettura reale, con l'agnello di un gigantesco Battista che appoggia una zampa oltre  la nicchia.

Il ritratto dell'arcivescovo Filippo Archinto, brillante diplomatico per Paolo III Farnese, ma mancato arcivescovo di Milano dove non riuscì mai ad insediarsi per contrasti interni alla diocesi, è considerato uno dei più enigmatici del Tiziano. Per quel telo trasparente che vela in modo irregolare metà della figura del porporato seduto in poltrona con in primo piano l'anello episcopale e la mano sinistra resa in forma succinta con un libro.
In mostra il velo ha fatto collocate il ritratto "Sulle orme di Zeusi e Parrasio", ma non viene nessuna tentazione a scansarlo: il velo fa parte integrante del ritratto condotto in velocità dal Tiziano. Il dipinto fu portato a termine fra 1556 e 1558, fra le date della nomina a Milano e il ripiegamento su Bergamo dove Archinto morì in giugno, a 58 anni, probabilmente per il "crepacuore" di un tempo. Finora non si è trovata una spiegazione che abbia raccolto il maggior numero di consensi al velo. Forse si può pensare che con il mancato insediamento Archinto si sia sentito un vescovo a metà, una nomina ribadita dall'anello non velato, anzi che proprio per non velare l'anello Tiziano ha deviato.

Tutt'altro enigma nello "Strappo" dipinto nel 1981 da Henri Cadiou ("9, Cité Fleurie, Par[is]" come si ricava dal cartellino sgualcito inserito-dipinto dall'artista). Due fogli di carta da imballaggio di un tono argentato, uniti alla meno peggio con scotch, sono strappati e rivelano la figura della "Gioconda" in verticale, dalla testa alle mani incrociate. La cura con cui Cadiou rende "ogni piega, grinza, ombra" dell'imballaggio e dello stappo è di un "virtuosismo sbalorditivo" come nota nella scheda Miriam Milman. Vale la pena ricordare che Cadiou fondò nel 1955 il movimento dei "Peintres de la Réalité". L'enigma è nella "Gioconda" il cui volto e incarnato e scollatura "sono resi con una fedeltà sconcertante", addirittura con "la craquelure dell'antico dipinto". Ma esiste questa "craquelure" sull'originale? Le mani della "Gioconda" di Cadiou sono eseguite con minore precisione rispetto al resto. E allora viene il dubbio di un inganno di Cadiou, di avere usato una riproduzione a stampa della "Gioconda", incollata al muro, e ricoperta dai fogli di imballaggio dipinti (strappo compreso). Nell'"Armadietto di spogliatoio" (1970), Cadiou mette insieme una tavola su cui dipinge il contenuto dell'armadietto metallico di un operaio che gioca alle corse dei cavalli, mangia "camembert" col pane, beve vino rosso, e uno sportello metallico, reale, su cui è incollata la foto di una "pin-up" come mamma l'ha fatta. Sembra che Cadiou abbia adattato, in colori e forma, la tavola allo sportello "con una accuratezza perfetta nel minimo dettaglio". 

Le 17 "nature morte" , dal Cinquecento ai giorni nostri, sono una mostra nella mostra, di bravura tecnica sbalorditiva, ma non c'è inganno, illusione, "trompe-l'oeil": una pittura da toccare, una pittura che si è fermata un attimo prima della trasformazione in materia. Cocomero, pesche appena colte, gatto ladro di salame, opere di Sebastiano Lazzari. Un fiasco impagliato nella tela delle Gallerie dell'Accademia, seconda metà del Settecento, sempre di Lazzari, potrebbe far venire qualche idea di "civiltà materiale" per sciogliere il mistero dell'autore della celeberrima "Fiasca Fiorita" di Forlì. Gli uccelli appesi di Cesare Dandini. L'enorme zucca  di Pierre Gilou (1973): "arancio e verde", la superficie rugosa "resa con un allucinato rigore", ma anche i ramoscelli di alloro le cui foglie sono di un argento spento. La pipa usata, la cenere, il boccale di terracotta, il "New York Herald" piegato dell'americano William Michel Harnett (1878): una composizione che sa del mondo degli affari, ma con un attimo di tranquillità e di privato. Più che essere ingannati sembra che i committenti vogliano "sentirsi a proprio agio" di fronte  a oggetti familiari.    

Un bel "busillis" "Tela  con cavalletto", serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio di Michelangelo Pistoletto. La riproduzione del retro di un cavalletto sullo sfondo di un dipinto alla parete e di una porta aperta. Collocati a livello di pavimento questi "Quadri specchianti" "alterano la percezione dell'ambiente reale dilatandolo, moltiplicandolo in spazi virtuali". L'osservatore non è più un semplice osservatore perché è "chiamato a distinguere il reale dall'apparente, quello che appartiene alla superficie d'acciaio come riproduzione fotografica", e quello che dell'ambiente si inserisce "in modo arbitrario e momentaneo nello spazio dello specchio come riflesso".

Forse può essere presa come sublimazione finale della mostra, come superamento di "trompe-l'oeil", "natura morta", inganno, illusione, la tela (162 per 130 cm)  dipinta nel 1997 da Jacques Poirier e arrivata da una collezione di Washington. Le caotiche composizioni pittoriche di Poirier, considerato "il più originale esponente del gruppo francese Trompe-l'oeil/Réalité", sono infatti "trappole visive e insieme rebus, quiz, calembour". A cominciare dal titolo, "Artnica", fusione di "arte" e "arnica" a ricordo della pianta portentosa che la nonna di Jacques usava per tamponare cadute e bernoccoli. Quella che sembra una piramide di scatolette di legno, quasi tutte rettangolari, appoggiata su di una cassapanca sul pavimento di mattoni, riserva la sorpresa di essere "la tabella di un cruciverba". Le cassettine contengono la più fantasiosa "chincaglieria e arnesi da rigattiere". Rubinetti e forbici, chiavi, vecchi strumenti scientifici, fili, corde e cinture, bottoni, un candelotto di esplosivo, dadi e carte, eccetera, eccetera, "disposti ad imitare le lettere dell'alfabeto"

Poirier non bleffa. Le definizioni sono sul cartiglio fissato alla cassapanca. C'è anche la firma, la pipa come attributo che sembra anche omaggio a Magritte. Il tutto è reso con una tecnica superlativa e spicca quello che sembra l'autoritratto "riflesso su uno specchio convesso ricoperto d'oro". Una volta riemersi da questo "tornado" di immagini, viene il sospetto che Poirier voglia "rifare il verso" allo "Scarabattolo" pieno di nobili oggetti delle collezioni medicee.

Notizie utili  -  "Inganni ad arte. Meraviglie del trompe-l'oeil dall'anticità al contemporaneo". Dal 16 ottobre 2009 al 24 gennaio. Firenze. Palazzo Strozzi. Promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, soprintendenza per il patrimonio storico- artistico e per il polo museale di Firenze, Opificio delle pietre dure. Sostegno della Cassa di risparmio di Firenze. Ideata da Cristina Acidini, soprintendente,  e Annamaria Giusti, direttore della Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti. A cura di Annamaria Giusti. Catalogo Mandragora.
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8,50, scuole 4.
Orari: tutti i giorni 9-20 (giovedì 9-23). La biglietteria chiude un'ora prima. Informazioni 055-2645155. www. palazzostrozzi. org. Prenotazioni e attività didattiche CSC 055-2469600; prenotazioni@cscsigma. it





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